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Clint Eastwood, 94 anni compiti, è arrivato al cinema con quello che dovrebbe essere il suo ultimo film, “Giurato numero 2”, un legal thriller che critica il sistema giudiziario americano esplorando il dilemma morale di un uomo costretto a scegliere tra verità e giustizia.
Justin Kemp (Nicholas Hoult) viene convocato per far parte della giuria che deve giudicare James Sythe, un uomo accusato di aver ucciso la fidanzata a seguito di una violenta lite in un bar. Quando gli avvocati espongono i fatti in aula, Justin è sconvolto all'idea che potrebbe essere stato lui stesso a causare la morte della donna. La sera dei fatti si trovava nello stesso locale della coppia; messosi alla guida sotto una pioggia torrenziale, aveva urtato qualcosa ma non riuscendo a vedere nulla e convinto che si trattasse di un cervo, era tornato a casa. Il giorno dopo Kendall Carter, la vittima, era stata ritrovata proprio accanto a quella strada. Durante il processo Justin è assalito da un grande dilemma morale: andare a costituirsi rischiando il carcere o accusare un altro e vivere nel senso di colpa?
A 94 anni Clint Eastwood torna al cinema con il suo ultimo (?) film, un legal thriller che critica il sistema giudiziario americano interrogandosi al contempo sul concetto stesso di giustizia. Il film si inserisce in un filone che vede antenati illustri, e non si esime dal citarli: le discussioni tra i giurati evocano "La parola ai giurati", capolavoro di Sidney Lumet con Henry Fonda nei panni dell'unico convinto dell'innocenza dell'imputato, impegnato a persuadere tutti gli altri.
Anche in questo caso, come nel film di Lumet, all'inizio la sentenza sembra già scritta: colpevole. I giurati sono persone che hanno altre priorità, altro da fare che stare chiusi per ore a disquisire della vita di un uomo, perciò vorrebbero emettere il verdetto prima possibile. Justin però, sentendo l'oppressione del senso di colpa, cerca di instillare ragionevoli dubbi nelle menti degli altri per spingerli a ritrattare la loro posizione. L'accusa d'altronde fa leva più sul passato violento dell'uomo e sui sentimenti dei giurati che su prove oggettive.
Questa è una delle accuse mosse dal regista. Una frase ricorrente nel film, "è un sistema imperfetto, ma è il migliore che abbiamo", ripetuta come un mantra dai due avvocati, in realtà nasconde una grande falla nel sistema giudiziario. Tra un imputato mal difeso da un avvocato d'ufficio con poco tempo da dedicargli, un pubblico ministero che spera di guadagnare dal caso una promozione e giurati che si preoccupano di passare meno tempo possibile in tribunale facendosi influenzare dai propri pregiudizi, assistiamo impotenti alla sconfitta della giustizia.
Proprio il pubblico ministero, Faith Killebrew, interpretata da una straordinaria Toni Collette, ha un ruolo chiave nella storia. Candidata per il ruolo di procuratrice, una sentenza di colpevolezza per un presunto femminicidio è ciò che le serve per garantirsi l'elezione. Col procedere del racconto però, grazie al confronto con l'avvocato difensore Eric Resnick, Faith inizia a mettere in dubbio le sue convinzioni e a svolgere indagini per suo conto, arrivando a una sconvolgente consapevolezza.
Contrariamente ai tradizionali legal thriller, tutti giocati nell'aula del tribunale, l'opera di Eastwood esce da quelle quattro mura trasportando il dramma nel privato del protagonista. Justin è un antieroe le cui azioni ci spingono a chiederci cosa faremmo nelle sue condizioni. Giurato in un processo in cui dovrebbe essere imputato, con un difficile passato da alcolista e una figlia in arrivo, Justin decide infine di non rivelare la sua posizione per salvaguardare la sua famiglia. Parlando con la procuratrice afferma che forse è meglio punire i colpevoli ideali risparmiando il destino di un'innocente famiglia americana, ammettendo implicitamente la sua colpa. Alla fine però la giustizia non guarda in faccia nessuno e arriva a chiedere il conto.
"Giurato numero 2" dimostra ancora una volta la capacità di Eastwood di raccontare storie con personaggi complessi e moralmente ambigui, osservando criticamente la società in cui vivono. Un film imperdibile, soprattutto per il dibattito che provoca dopo la visione.
Alberti Aurora
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Grande film, concordo voi. Mi pare però che l'avvocato della difesa di tempo ne ha messo. Però Gran Torino rimane ineguagliato. Bruno