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Il 30 novembre è uscito al cinema “Palazzina LAF”, il debutto alla regia di Michele Riondino, che recita anche nel film accanto a grandi nomi come Elio Germano e Vanessa Scalera.
Riondino, già noto soprattutto per “Il giovane Montalbano” e “I Leoni di Sicilia”, ha deciso di raccontare una storia fondamentale per lui e la sua città, Taranto. Il film parla della Palazzina LAF, un reparto-confino dove decine di impiegati dell’ILVA venivano rinchiusi nell’orario di lavoro senza nulla da fare, come punizione per il loro rifiuto di firmare un contratto che li avrebbe demansionati a operai e mandati a fare lavori per i quali non avevano le competenze. In questa storia, Riondino interpreta Caterino Lamanna, un operaio che va di sua volontà alla Palazzina LAF, convinto che sia un paradiso dove si è pagati per non lavorare, con il compito di spiare i confinati e riferire al capo, Giancarlo Basile (Germano). Caterino scoprirà che quello che sembra un paradiso, in realtà è una crudele strategia per piegare psicologicamente i lavoratori più scomodi, poi riconosciuta da un processo come il primo caso di mobbing in Italia.
Il film è tratto dal libro “Fumo sulla città” di Alessandro Leogrande, che avrebbe dovuto firmare la sceneggiatura ma che durante la lavorazione è venuto a mancare. Leogrande spiegava che “il confinato diventa monito per tutti gli altri, per tutti quelli, cioè, che continuano a lavorare alla catena. Se non ti comporti bene, ecco cosa ti aspetta… Allo stesso tempo, chi è spedito in un reparto confino è costantemente esposto al ricatto di passare dal confinamento al licenziamento, di cadere dalla padella nella brace”. La fabbrica fa da sfondo e contesto alle vicende umane raccontate, che parlano di diversi modi di essere lavoratori, tra chi si batte per difendere le proprie competenze e chi è pronto a svendere se stesso e gli altri per qualche vantaggio personale. Dal film traspaiono la grande conoscenza della materia da parte di Riondino, da anni attivista e membro del Comitato Cittadini e lavoratori liberi e pensanti di Taranto, ma anche l’influenza di molto cinema italiano, da quello politico e impegnato di Elio Petri alla saga grottesca di Fantozzi, che hanno portato, in modi diversi, a riflettere sul rapporto tra società e lavoro.
Nel trasmettere il senso di oppressione e disperazione in cui vivono gli impiegati ha un ruolo fondamentale anche la colonna sonora originale a cura di Teho Teardo, che dona alle scene toni minacciosi e drammatici. Sui titoli di coda invece domina la canzone "La mia terra” di Diodato, tarantino come il regista: una dichiarazione d’amore alla città, descritta come “un campo minato su cui crescono fiori bellissimi”. Perché una città come Taranto, con tanta bellezza, storia e cultura da offrire, non può essere associata solo alle problematiche causate all’ILVA. Lo stesso regista si dice ottimista a proposito: “a Taranto adesso si sta respirando un’altra aria. C’è una generazione che non dipende più dall’Ilva e che ormai riesce a pensare e immaginare un futuro senza grandi industrie.”
“Palazzina LAF” ci fa riflettere e indignare per ciò che è stato, nella speranza di non vedere mai più in futuro situazioni del genere e di vedere invece che i diritti dei lavoratori vengono rispettati, così come le loro competenze e la loro dignità.
Alberti Aurora