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Ne “Il tempo che ci vuole” Francesca Comencini si racconta e ci regala un film intenso e commovente sull'amore di un padre per una figlia uniti da una passione salvifica, il cinema.
La regista mette in scena la sua giovinezza in questo film autobiografico dove racconta la sua infanzia spensierata e gli anni bui dell'adolescenza, visti in relazione al rapporto col padre, Luigi Comencini, regista di primo piano del nostro panorama cinematografico tra anni '50 e '70. Francesca cresce oppressa da quella sensazione condivisa da molti figli d'arte di non essere mai abbastanza e di dover dimostrare qualcosa al mondo per reggere il confronto con quegli ingombranti, per quanto amati, genitori. Al difficile rapporto col padre si aggiunge la difficoltà di vivere l'adolescenza in un'epoca storica complessa come sono stati gli anni '70, densi di cambiamenti politici e sociali, e dominati da uno scontro generazionale più forte che mai.
Lo aveva già fatto in precedenza, ma in questo film la regista ha deciso di affrontare in modo più diretto e personale che mai il suo rapporto col padre, figura sempre presente e amorevole, capace di infonderle valori che hanno plasmato tutto il suo lavoro e la sua vita, tra cui il diritto al fallimento. "Fallire, fallire ancora, fallire meglio": la frase di Samuel Beckett diventa il motto che Comencini cerca di trasmettere alla figlia, spiegandole quanto sia necessario provare, fallire e riprovare finché non riusciamo a trovare la nostra strada, quella strada che Francesca aveva smarrito durante l'adolescenza, perché piegata da una malsana paura del fallimento che l'aveva spinta a rifugiarsi nelle droghe, nelle bugie, nel disprezzo per il padre.
Un altro degli insegnamenti paterni è "Prima la vita, poi il cinema", un credo che Comencini ha portato avanti in tutte le sue scelte, come quando ha accantonato il suo lavoro prendendosi "il tempo che ci vuole" per stare accanto alla figlia durante la sua battaglia contro la dipendenza da eroina. Quella parte del film è una delle più dure e commoventi da guardare: una figlia sulla via della perdizione, un padre che fa di tutto per aiutarla ma che a sua volta inizia ad ammalarsi di Parkinson e un rapporto che viene gradualmente ricostruito anche grazie a quella passione salvifica che è il cinema, via di fuga da ogni male.
L'amore per il cinema è una caratteristica che ha contraddistinto Luigi Comencini fin dalla giovinezza, quando insieme a un paio di amici ha iniziato a salvare film il cui sfruttamento era finito, prima che le pellicole fossero mandate al macero. Proprio quel nucleo di pellicole è stato all'origine della fondazione della Cineteca Italiana: alcuni fotogrammi di quelle opere sono stati inseriti nel film, in particolare un "Pinocchio" risalente al 1911. Il personaggio di Pinocchio infatti è fondamentale per Francesca, che mette in scena la sua infanzia felice sul set dello sceneggiato dedicato al celebre burattino realizzato da suo padre nel 1972. La regista ha ricostruito i set dello sceneggiato e l'atmosfera "di caos, di carnalità, di urla, di vita" che percepiva da bambina, unita a quella meraviglia per un mondo magico e fiabesco che prendeva vita davanti ai sui occhi.
La grande forza emotiva di questo film si deve alla storia famigliare potente e all'immensità degli attori nel portarla sullo schermo. Fabrizio Gifuni è impressionante nell'evocare Luigi Comencini con tutto il corpo, dalla gestualità all'atteggiamento sempre autoritario ma gentile, mentre Romana Maggiora Vergano (già bravissima in ‘C'è ancora domani’) mette in scena perfettamente quel senso di disorientamento e di solitudine di un'adolescente in cerca di se stessa. Gli attori riescono a rendere reale il rapporto strettissimo che c'è tra padre e figlia, regalando due interpretazioni davvero commoventi.
Francesca Comencini è riuscita, con un film coraggioso sulla sua vita, a raccontare una storia universale, di un legame indissolubile che può essere messo alla prova in mille modi ma che alla fine trova sempre la strada per vincere. È la forza dell'amore, è la forza del cinema.
Alberti Aurora